Mai mask
di e con Marianna Andrigo
musica, luci, scena Aldo Aliprandi
assistenza drammaturgica Samanta Cinquini
una produzione DanceMe, progetto di Perypezye urbane con il sostegno di MiBac, Live arts cultures - Forte Marghera
2018
Io grido a te, ma tu non mi rispondi,
insisto, ma tu non mi dai retta.
Tu sei un duro avversario verso di me
e con la forza delle tue mani mi perseguiti;
mi sollevi e mi poni a cavallo del vento
e mi fai sballottare dalla bufera.
Giobbe 30:20-22
Accecata da prima. Con l’occhio coperto. Cieco. Fuori dalla caverna. Lontana delle ombre. Ed ombra. Forte-piano. Il corpo completamente impiegato. Costretto. Slanciato in acrobazie immaginarie. Attorcigliato intorno il focolare dell’anima. Alla prova costante. Per sfinire, misurare, contenere e poi consegnare quanto resta. Il suono.
Durante l’ultima traversata possibile. A cavallo del vento, sballottata dalla bufera. Faccia a faccia con Dio.
Marianna Andrigo alla stregua dell'uomo geworfen heideggeriano si getta nel mondo.
Mai Mask è un dialogo ininterrotto col divino. Con la ricerca della verità e l’inesorabile incompletezza. Con la creatura che dimora l'uomo. L'essere umano. L'umana creatura “qual siano gli occhi suoi, vede l'aperto
La scena è minimale. Disegna una geometria misteriosa. In continua relazione con la performer. Una relazione minima. Quasi timida. Affinché ne affiori il necessario. Affinché la scena possa contenere la natura matrigna e miserabile – ma al contempo creatrice – chiamata a rispondere in ultimo appello. Quando la rabdomante, trascorsa la notte, inizia a chiamare gli Dei.
Il sottile silenzio, il movimento degli archetti, voci di metallo, boati e sussulti di fiato ferroso, il tricordo e quel simil carillon un poco antico e nostalgico appaiono pazienti ed incalzanti la Creatura. Non più umana. E completamente umana.
Fino al buio.
Fintanto dico io, non lo so più a cosa ho preso parte. Pare d’essere entrati di soppiatto in qualche monastero antico. Durante lo svolgimento d’un mantra che dura da sempre. E mi domanda. Mi domanda. Mi domanda.
Samanta Cinquini
Foto: Samanta Cinquini
di e con Marianna Andrigo
musica, luci, scena Aldo Aliprandi
assistenza drammaturgica Samanta Cinquini
una produzione DanceMe, progetto di Perypezye urbane con il sostegno di MiBac, Live arts cultures - Forte Marghera
2018
Io grido a te, ma tu non mi rispondi,
insisto, ma tu non mi dai retta.
Tu sei un duro avversario verso di me
e con la forza delle tue mani mi perseguiti;
mi sollevi e mi poni a cavallo del vento
e mi fai sballottare dalla bufera.
Giobbe 30:20-22
Accecata da prima. Con l’occhio coperto. Cieco. Fuori dalla caverna. Lontana delle ombre. Ed ombra. Forte-piano. Il corpo completamente impiegato. Costretto. Slanciato in acrobazie immaginarie. Attorcigliato intorno il focolare dell’anima. Alla prova costante. Per sfinire, misurare, contenere e poi consegnare quanto resta. Il suono.
Durante l’ultima traversata possibile. A cavallo del vento, sballottata dalla bufera. Faccia a faccia con Dio.
Marianna Andrigo alla stregua dell'uomo geworfen heideggeriano si getta nel mondo.
Mai Mask è un dialogo ininterrotto col divino. Con la ricerca della verità e l’inesorabile incompletezza. Con la creatura che dimora l'uomo. L'essere umano. L'umana creatura “qual siano gli occhi suoi, vede l'aperto
La scena è minimale. Disegna una geometria misteriosa. In continua relazione con la performer. Una relazione minima. Quasi timida. Affinché ne affiori il necessario. Affinché la scena possa contenere la natura matrigna e miserabile – ma al contempo creatrice – chiamata a rispondere in ultimo appello. Quando la rabdomante, trascorsa la notte, inizia a chiamare gli Dei.
Il sottile silenzio, il movimento degli archetti, voci di metallo, boati e sussulti di fiato ferroso, il tricordo e quel simil carillon un poco antico e nostalgico appaiono pazienti ed incalzanti la Creatura. Non più umana. E completamente umana.
Fino al buio.
Fintanto dico io, non lo so più a cosa ho preso parte. Pare d’essere entrati di soppiatto in qualche monastero antico. Durante lo svolgimento d’un mantra che dura da sempre. E mi domanda. Mi domanda. Mi domanda.
Samanta Cinquini
Foto: Samanta Cinquini